Cos’è laparotomia damage control (Damage Control Laparotomy)?
La Damage Control Laparotomy (DCL) è una strategia chirurgica che si applica ai pazienti con grave compromissione della riserva fisiologica indotta dall’evento traumatico o ischemico.
Perché si applica questa tecnica?
L’attuazione di questa tecnica, se attuata tempestivamente, consente un miglioramento della sopravvivenza sino al 90%, rispetto al 58% osservato nei pazienti non trattati secondo tale metodica a parità di compromissione dei parametri vitali.
Il razionale della strategia è:
- di controllare rapidamente le condizioni a rischio per la sopravvivenza;
- recuperare la riserva funzionale del paziente;
- rimandare a un momento successivo la correzione definitiva delle lesioni;
Congiuntamente all’atto chirurgico, la strategia damage control prevede anche una rapida correzione della volemia e della coagulopatia.
La decisione di applicare le tecniche di damage control dev’essere presa precocemente durante la gestione del paziente.
Quali sono le indicazioni a tale trattamento?
Le indicazioni a tale trattamento sono elencate in tabella seguente:
1. Instabilità emodinamica
2. Coagulopatia all’ingresso o durante l’intervento
3. Grave acidosi metabolica (pH <7,2; BE >–6)
4. Temperatura centrale <36°C
5. Tempi chirurgici previsti per la riparazione definitiva >90 min
6. Traumi ad alta energia
7. Ferite penetranti multiple
8. Multiple lesioni viscerali associate a lesioni vascolari maggiori
Quale è la strategia di applicazione di questa tecnica?
La strategia si articola in quattro fasi:
Fase 0 : detta anche ground zero
È la fase di soccorso preospedaliero e di rianimazione in PS.
Consiste nel riconoscimento delle sedi di emorragia che dev’essere effettuato mediante sole indagini diagnostiche di primo livello in tempi inferiori a 20 minuti.
Fase 1 : è la fase chirurgica
Consistente in una laparotomia abbreviata, di durata non superiore ai 60 minuti.
In questa fase si esegue solamente il controllo dei focolai di sanguinamento e di contaminazione del cavo addominale.
L’accesso al cavo addominale avviene attraverso un’incisione mediana xifo-pubica (xifo-sottombelicale se concomita una frattura complessa di bacino).
Dopo aver rimosso sangue e coaguli (il minimo necessario) si pratica il packing addominale dei tre quadranti (superiore sinistro, superiore destro, pelvico) e delle logge paracoliche con successiva chiusura rapida della cute e si attende la normalizzazione emodinamica.
Se il recupero non è soddisfacente si può clampare l’aorta sottodiaframmatica o toracica mediante toracotomia sinistra.
Successivamente,si procede alla riesplorazione del cavo, si posizionano i divaricatori, si recupera il sangue residuo e si rimuove il packing a partire dal settore con minori probabilità di lesioni.
Il trattamento delle lesioni parenchimali prevede l’asportazione degli organi non vitali (per esempio milza, un rene) e la correzione delle lesioni di organi vitali con emostasi diretta e asportazione parziale con successivo packing (per esempio fegato, rene unico).
Le lacerazioni intestinali vengono controllate mediante resezione con stapler senza confezionamento di anastomosi o stomie.
Le lesioni vascolari vengono trattate mediante legatura o, dove ciò non sia possibile, con posizionamento di shunt temporanei.
L’intervento si conclude con la chiusura temporanea della parete addominale (chiusura della sola cute, apposizione di materiale sintetico) al fine di prevenire l’insorgenza della sindrome compartimentale addominale (SCA).
Al termine della DCL, a paziente con parametri stabilizzati, è indicata l’esecuzione di una TC con mdc per evidenziare focolai residui di emorragia eventualmente passibili di trattamento angiografico.
Fase 2 : è la fase di recupero della riserva fisiologica del paziente
È una fase che deve essere effettuata in terapia intensiva.
Gli obiettivi da raggiungere in questa fase sono:
la correzione dell’ipotermia (core T >37°C)
ripristino di una normale perfusione tissutale (lattati <2 mMol/L)
ripristino di valori adeguati di emoglobina (Hb>7g/dL, Hb >9 g/dL se trauma cranico associato)
ripresa di un normale profilo coagulativo (INR<1,5, piastrine >50.000 × 109, fibrinogeno >150 g/dL)
mantenimento di una pressione intraddominale inferiore a 25 mmHg per prevenire la SCA.
Può succedere che durante questa fase sia necessario procedere a un reintervento per la persistenza di emorragia (necessità di trasfondere più di 2 unità per ora) o comparsa di SCA.
Fase 3 : è il momento del trattamento definitivo delle lesioni.
Deve avvenire entro 48 ore dall’intervento iniziale, una volta corrette le alterazioni metaboliche e recuperata la riserva fisiologica.
In questa fase si procede al depacking definitivo e all’esplorazione completa del cavo addominale.
Vengono controllate emorragie residue a carico degli organi parenchimatosi, si procede al debridment di settori devascolarizzati e si confezionano le anastomosi per il ripristino della continuità intestinale.
Le lesioni vascolari trattate con shunt temporanei in fase 1 vengono corrette con shunt definitivi o by-pass.
In questo momento, si devono posizionare i dispositivi per la NE (nutrizione enterale), preferendo i sondini naso-digiunali ed evitando il confezionamento di digiunostomie per ridurre i rischi di complicanze.
Al termine della laparotomia la parete addominale viene chiusa in maniera tradizionale o con dispositivi temporanei in caso di ipertensione addominale.
Dev’essere infine eseguita una Rx dell’addome per documentare l’assenza di garze o compresse laparotomiche residue in cavità.
Quali possono essere le complicanze della laparatomia damage control?
Le complicanze della DCL sono dovute all’evoluzione di lesioni non riconosciute durante la laparotomia abbreviata e a complicanze settiche.
Il risanguinamento da organi parenchimali è la complicanza più frequente che può chiedere necessità di reinterventi chirurgici.
Le infezioni possono svilupparsi in conseguenza di lesioni intestinali non riconosciute e non corrette inizialmente (specie in presenza di traumi penetranti).
Si possono formarsi ascessi intraddominali con percentuali tra il 10 e il 70%, verosimilmente correlati alla durata del packing.
La contaminazione peritoneale si presenta in oltre l’80% dei pazienti con packing in sede oltre 48 ore.